22 Dicembre 2002: in partenza per le vacanze di Natale

Vi sto scrivendo dall’aeroporto di São Paulo, col portatile. Mi sento molto “executive” in questa situazione, ma la mia borsa vecchia e sporca e lo straccio di maglietta che indosso tradiscono subito le mie umili origini. Ieri ho lasciato Jaboticaba, in un giorno pieno di emozioni e anche un po’ di stress, visto che dovevo fare le valigie, sistemare cento cose prima della partenza, salutare un sacco di persone, svuotare e sbrinare il frigorifero, non dimenticarmi niente, ecc… Le emozioni sono state dovute alla cerimonia di conclusione dei ragazzi del terzo anno. È stata una cosa molto bella, iniziata con la Messa. I ragazzi si sono fatti il vestito tutti uguali, molto semplice, ma di grande effetto. Il giorno prima le ragazze erano già arrivate con enormi bigodini sulla testa per lisciare i capelli e alla cerimonia erano tutte splendide. Ogni studente è entrato accompagnato dal suo padrino o madrina. Sembrava una sfilata di moda perché per l’occasione ognuno sfoggiava il vestito più bello, molte ragazze madrine erano in abito lungo e sembravano delle principesse al ballo. Anche i genitori erano tutti in ghingheri, è il giorno più importante per loro e per i loro figli e si vestono come fossero principi, anche se quello che hanno indosso è l’unico vestito buono e quelle sono le uniche scarpe che non siano le ciabatte di plastica che portano ogni giorno. Quanta dignità in queste famiglie! Quanta voglia di dimenticare di essere poveri, almeno per un giorno. Poi finita la Messa è stata la volta dei discorsi, molta gente ha fatto gli auguri e le “raccomandazioni” ai ragazzi per il loro futuro. Mi hanno invitato a parlare, ma sul finire del discorso la commozione mi ha tradito e ho versato lacrimoni di nostalgia, che vergogna! Però sarà una di quelle cose che si ricordano, almeno per una settimana ci sarà gente che ne parla. Ogni padrino/madrina poi ha consegnato il diploma al suo studente e finalmente si è passati ai festeggiamenti. I ragazzi la sera prima avevano cucinato 500 pastel e 20 torte, il padre da Salvador aveva portato 20 bei pescioni e così la folla di amici e parenti si è riempita lo stomaco in allegria e io, con il vestitino della festa, mi sono ritrovata a distribuire il pesce e a togliere lische. Ma è già quasi ora di partire per Salvador. Corro a chiudere le valigie, vorrei mettere un po’ d’ordine in casa, ma non c’è tempo, lascio tutto all’aria, intanto tra meno di un mese sono di nuovo qui. Parto con un po’ di “saudade” e con la voglia di tornare. Decine e decine di abbracci e di auguri mi accompagnano, sento una grande rete di affetto e di attenzione per me, che nemmeno me la merito tutta! È la prima volta dopo quasi 6 mesi  che lascio il Brasile per tornare in Italia a passare le vacanze di Natale. Forse avrei voluto dire per tornare “a casa”, ma ieri tutte le volte che dovevo dire questa frase, mi rendevo conto che dire “tornare a casa” mi suonava stonato, perché sentivo che la mia casa adesso è a Jaboticaba. Invece che essere strafelice di rivedere Genova, c’era in me un fondo di malinconia per lasciare la mia casetta, gli amici-colleghi, Josenildo, la gente dei villaggi… E questo mi ha spaventata moltissimo. Se già adesso mi sento così, ora che vado via solo per 20 giorni, cosa succederà quando tra 1 anno e mezzo finirà il mio lavoro qui e tornerò definitivamente in Italia? Paura… paura… terrore, ma è presto e non ci voglio ancora pensare. A dire il vero qualche pensiero già si affaccia invadente nella mia testa. Lasciare tutto e vivere là nel sertão… Dio mio, quanta paura mi fa, ma c’è un fondo di attrazione, altrimenti questi pensieri non mi passerebbero per la testa. Cosa mi fa paura? Potrei dire la lontananza dalla famiglia… ma non è questo, o almeno non è il motivo più grande. Mi fa paura la povertà.  Mi terrorizza vivere con 150 euro al mese in un paese che non può offrirmi di più, in una regione dove mancano l’assistenza medica, gli svaghi, le infrastrutture. Ho paura della vita semplice e povera. Ma contemporaneamente mi attrae, perché nella vita semplice c’è l’autenticità, c’è più solidarietà, meno complicazioni. Noi ricchi abitanti del primo mondo siamo infinitamente tristi e depressi in confronto ai poveri, nonostante essi abbiano da preoccuparsi delle esigenze fondamentali della vita, come mangiare, avere un tetto sotto cui dormire e curarsi dalle malattie. Ma qui tra i poveri ho trovato quella felicità che in Europa sembra scomparsa, la semplicità di vita diventa anche semplicità di pensieri e sono finite le seghe mentali per problemi inesistenti che attanagliano il quotidiano di un qualsiasi italiano, sono finite le depressioni causate da inezie e i rapporti problematici con il prossimo. Forse sto vivendo una situazione privilegiata, in mezzo ai poveri del Brasile con possibilità da italiana, con la tranquillità che qualsiasi cosa di cui abbia bisogno me la potrò permettere. In questa situazione è più facile sentire la felicità e vedere le cose con gli occhiali rosa. Se venti pecore fossero l’unica mia ricchezza e stessero morendo di fame perché non c’è più un filo d’erba, e se avessi un figlio malato che non posso curare… forse non sarei qui a parlare di felicità come una ingenua viziata occidentale. Nonostante ciò resto convinta che la vita qua, nel sertão, sia più autentica e bella, gli abbracci della gente sono segni di vero amore, la cordialità e l’accoglienza incondizionata sono affetto vero. Beati voi poveri, perché vostro è il Regno dei Cieli, così parla Gesù Cristo nel discorso della montagna. Quante interpretazioni di questo passo si sono date. Oggi ne ho intesa una nuova, che è quella del significato letterale, che sempre mi era sembrata assurda.  Beati uguale felici, uguale invidiabili, per essere poveri, sì proprio così. Beati voi che siete nati poveri e vivete questa vita vera e ricca, sfortunata io che sono nata  ricca e non riesco a liberarmi della ricchezza, che mi rende triste e insoddisfatta. Il Regno di Dio sta in mezzo a voi, ma pochi se ne rendono conto. Forse neppure voi ve ne rendete conto, frastornati come siete da quello che mostra ogni giorno la televisione, la quale fa diventare assolutamente necessario il superfluo. Beati senza saperlo, magari anche voi con la vostra piccola maledizione di cercare la ricchezza pensando che sia la felicità. Ma un altro dubbio mi assale poi, che in un certo senso contraddice tutto quanto ho scritto finora: non sarà che fuggire verso i poveri per cercare la felicità sarà solo una fuga facile (?) dal grigiore dell’Europa, una fuga dall’affrontare le tristezze e i problemi del vecchio continente, una fuga dalla responsabilità di riportare il ricco Occidente alla coscienza della giustizia per  tutti i popoli? Lavorare per i poveri da dentro la culla dei ricchi è ben più difficile che lavorare nel sertão, mille volte più difficile e insoddisfacente. Ma bisogna che qualcuno lo faccia, altrimenti il solco già profondo tra noi e loro diventerà sempre più una voragine. Vincere la paura… È una sfida, un travaglio, dolore. E non so chi vincerà e come finirà.

12 Novembre 2002: Fantozzi in viaggio nel sertao

Sono qui reduce da una giornata massacrante…  Ecco come è andata: siamo stati invitati a presentare il nostro progetto ad un incontro regionale a Ruy Barbosa, la cittadina sede della nostra diocesi (a soli 200 chilometri di distanza, comodo eh!). Mi sono quindi messa a disposizione per guidare la terribile Kombi di Suor Vivalda (vecchissimo pulmino 9 posti Wolkswagen, quello coi fari tondi… ogni tanto si incontra ancora qualche figlio dei fiori sessantenne che ci va in vacanza per l’Europa. Avete capito quale è?). L’incontro iniziava alle 9, il tempo previsto di viaggio erano quasi tre ore e naturalmente io Josa e Eliezer ci siamo dati appuntamento per partire alle 7 (e per chi sa un po’ di matematica.. già manca un’ora al bilancio). Naturalmente però Josa ha accumulato un ritardo di un’ altra ora per raccogliere tutto il suo materiale, andare in banca, scambiare pettegolezzi con tutti gli impiegati e gli abitanti di Quixabeira. Io, che mi sentivo quasi milanese in quel frangente, guardavo l’orologio scalpitante, mentre la lancetta segnava già le 8 e avevamo fatto solo 9 chilometri… Finalmente ci rimettiamo in marcia, ma appena arrivati a Capim Grosso (dopo 32 chilometri) ecco che il motore della malekombi (= maledetta kombi) comincia a perdere colpi. Ore 8:30 eccoci quindi dal meccanico che sistema il problema (speriamo). Ore 9 finalmente partiamo da Capim Grosso, ci sono solo 170 chilometri di strada sertaneja per arrivare in orario. Io schiaccio l’acceleratore, il motore pare funzionare e la strada scorre abbastanza veloce, non ci sono nemmeno tanti buchi. Visto che già siamo in ritardo… ci concediamo una colazioncina (8 pezzi di torta e 7 bicchieri di succo di frutta in tre…). E così, rilassati e con la panza piena, proseguiamo ammirando il bel paesaggio, che qui è collinoso, molto verde, con tanti alberi. Per chi è abituato alla pianura secca e spoglia di Jaboticaba, è un piacere per la vista, qua e là anche qualche fazzoletto di foresta originaria, alberi alti, particolari, con un loro fascino. Jaboticaba e tutta la regione intorno nei decenni passati erano così, poi hanno distrutto tutta la vegetazione di alto fusto. La fame e l’ignoranza hanno trasformato tutto in pascolo che poi si è inaridito sempre più fino a restare terra secca… L’ecosistema di queste terre difficili è molto fragile e la natura maltrattata risponde. Chissà come era bello quando c’erano gli alberi. Ma torniamo al nostro viaggio. Rilassati dunque passiamo Baixa Grande e sicurissimi di noi, nonostante la totale assenza di indicazioni, proseguiamo su un lungo stradone. Dai nostri calcoli mancano una settantina di chilometri. Lo stradone sembra una pista nel deserto nel senso che non si incontrano anima viva né case per chilometri e chilometri.  Ma finalmente ecco lì un gruppo di case, ehi c’è qualcuno che si sbraccia per fermarci, c’è una donna incinta sorretta da altre due. Che facciamo?  Ci fermiamo. La ragazza è in piena crisi respiratoria e forse anche isterica, sta male, la issiamo sul pulmino e in quel momento scopriamo che siamo completamente fuori strada! Ruy Barbosa è dalla parte opposta ed è quasi mezzogiorno. Presi dal panico del ritardo e dell’errore, diciamo alle donne che dobbiamo tornare indietro, facciamo scendere la partoriente, ma sulla strada non passano altre macchine… Ci viene subito il rimorso e decidiamo di accompagnarla anche se ci porta ancora più distante. Tanto ormai siamo in ritardo… Tre o quattro ore di ritardo che differenza fa? Torniamo indietro, ricarichiamo quindi la partoriente semimoribonda sul pulmino. Io mi immagino già di assistere al mio primo parto visto nello specchietto retrovisore, ma finalmente arriviamo alla clinica e scarichiamo la ragazza e le sue amiche tra mille benedizioni e ringraziamenti.  E quindi eccoci completamente fuori strada. Chiediamo informazioni e un gruppetto di persone alla fermata dell’autobus ci spiega la strada e poi naturalmente ci chiede un passaggio. Ricarichiamo la Kombi con i nuovi passeggeri e affrontiamo gli ultimi 140 chilometri. Finalmente alle 13:20, con sole 4:20 ore di ritardo arriviamo alla EFA di Ruy Barbosa. Quei santi che ci aspettavano non sono nemmeno arrabbiati, ci danno pure da mangiare! Alle 14 presentiamo il progetto, spiegando tutte le sue varie articolazioni, i successi, le difficoltà, la storia, ecc… Sono tutti interessatissimi e ci fanno i complimenti. Alle 16 l’incontro finisce e ripartiamo, questa volta staremo molto attenti a non sbagliare strada. L’asfalto è buono, la Kombi fa un rumorino strano ma dopo un po’ passa, il paesaggio collinare e il verde mi ricordano le strade di campagna dell’entroterra ligure-piemontese, che bello! Mentre guido affiorano ricordi, un albero, una curva, somiglianti ad un altro albero, un’altra curva dall’altra parte del mondo… Questa volta imbrocchiamo tutte le strade e in poco più di due ore eccoci finalmente a casa.  Risultato: 600 chilometri in 8 ore, la schiena a pezzi, la sciatica, gli occhi che mi bruciano e la consapevolezza che non potrò mai fare la camionista!  E adesso … Buonanotte!

p.s. una notizia grandiosa: finalmente ho il telefono in casa



14 Ottobre 2002 : lavarsi….

Il titolo non è una esortazione, ahimé, alla purificazione spirituale… ma proprio a quella materiale. Il fatto è che da tre giorni nella scuola siamo senza acqua corrente perché si è rotta la pompa. E così arranco avanti e indietro col secchio, per tirare su l’acqua dalla cisterna. Generalmente durante questa operazione me ne verso metà addosso… così una parte del bagno è già fatta. Arrivo quindi col secchio nella doccia e comincia il gioco dei travasi negli altri secchi. Il primo che ho usato era bucato ma me ne sono accorta solo dopo due ore quando il bagno era una piscina… Comunque l’essere umano ha capacità di apprendimento e così al terzo giorno ho già perfezionato le tecniche (la bacinella per i piedi, il vaso dei fiori – nuovo – per il bidet…, l’acqua riciclata per lo sciacquone..).  Ho scoperto così che per lavarsi in realtà è sufficiente pochissima acqua: con meno di mezzo secchio ci si lava tutto il corpo (esclusi i capelli). Però ci si mette il triplo del tempo e della fatica. E penso a tutta la gente di qua per cui questo è normale (quasi nessuno di quelli che abitano nei campi ha l’acqua corrente). Una cosa per me banale e scontata, per altri è ben più complessa (anche se per loro poi è normale). Quando si va in giro, nei pressi delle paludi si incontrano sempre le donne che fanno il bucato: arrivano a piedi con le ceste di vestiti sporchi e dopo qualche ora le recinzioni tutto intorno alla palude diventano un arcobaleno di panni stesi ad asciugare! Si incontrano poi i carretti trainati dall’asino o dal bue o dal cavallo con bidoni d’acqua da riempire: tutti i giorni vanno avanti e indietro a prendere l’acqua fangosa degli stagni per portarla a casa. Non tutte le case poi hanno la cisterna “de bica” (cisterna che raccoglie l’acqua piovana delle grondaie del tetto), che comunque è usata solo per bere e cucinare. Immaginatevi cosa beve chi non ha nemmeno la cisterna… I vermi, l’ameba, la dissenteria, sono malattie diffusissime, soprattutto nei bambini. La cisterna “di grondaia” e l’uso dei filtri, se usati correttamente, possono risolvere il problema. È per questo che esistono molti progetti sia di entità brasiliane che straniere, per la realizzazione delle cisterne per l’acqua piovana, che rimane comunque una tecnologia piuttosto recente nella storia del sertão. Ma torniamo a me e ai miei piccoli problemi di acqua… La cosa che mi ha mandato un attimo in crisi in questi tre giorni è che, non essendo abituata ad usarla facendo la doccia, non avevo la spugna. O meglio una ce l’avevo: quella dei piatti (sì, quella gialla e verde, proprio lei, col verde ruvido..), era poco usata e quindi facendo attenzione a non sbagliare colore, ho scoperto che è un’ottima spugna da bagno, un po’ piccola ma ottima per risparmiare acqua e con tanto di versione esfoliante (lato verde). Ora però vi chiederete se dopo essermici lavata i piedi continuerò a lavarci i piatti….Non ve lo dirò mai!

22 Settembre 2002: settimana di bingo, politica e gita scolastica!

Anche quella passata è stata una settimana molto intensa! Vi avevo lasciato dicendo che sarei andata alla festa del sindacato. Come in ogni manifestazione di sindacato, ci sono stati vari oratori, più o meno lunghi e infervorati, nel salone gremito di gente. Gli ospiti erano il deputato federale Pinheiro, che è stato giudicato uno dei migliori  di tutto il Brasile e la candidata alla camera statale Cecilia. Per chi non lo sapesse il Brasile è una federazione di stati e quindi quest’anno si eleggono, oltre al presidente della repubblica, anche i governatori di ogni stato, i deputati federali, e i deputati statali. I due politici erano del PT, in quanto il sindacato in genere è orientato verso il PT. Il PT è il maggiore partito della sinistra, la sigla significa Partito dei lavoratori, ed è il partito che più lavora con le politiche sociali, si batte per la riforma agraria, per la fine del latifondo, per i diritti dei lavoratori. A livello locale sta governando molto bene (in alcuni stati come il Rio Grande do Sul, in città o piccoli comuni, tutti riconoscono che sta lavorando molto bene). Del resto per dare buoni risultati in un comune sarebbe sufficiente che il sindaco non si rubasse tutti i soldi come invece fanno quasi tutti. In pratica basterebbe una persona onesta per fare un buon governo, almeno a livello di enti locali! Il PT è molto amato da chi opera nel sociale, nel volontariato, coi poveri. Il PT a quanto vedo, è una vera e propria passione per i suoi adepti! Tutti vanno in giro con magliette, spilline, adesivi con le facce dei deputati sulla macchina, sulla porta di casa, sui vestiti. A me dà l’impressione di qualcosa di pulito e di positivo in un mondo di politici corrotti… può darsi che la mia visione sia distorta dal fatto che qua sono tutti del PT… il fatto innegabile è che chi lotta per sconfiggere le ingiustizie sta col PT, e quindi anche io mi sono schierata senza esitazioni! Lula (il candidato alla presidenza, del PT) è in testa ai sondaggi, ma mi sembra strano che gli USA lo lascino vincere…. Certo, anche se vince Lula, i problemi del Brasile, sono talmente numerosi e complessi, che non riuscirà a fare molto, ma sicuramente proverebbe a migliorare le cose per le fasce più deboli. E quindi dopo avere fatto la conoscenza dei deputati (ma che bello, un deputato che parla con tutti, abbraccia e bacia tutti, vestito semplicemente, una pacca sulla spalla e una parola con chiunque, immerso tra la gente..), c’è stato un momento di svago con un bingo, in palio c’era una pecora! Ho comprato una cartella per finanziare le spese del sindacato e … ho iniziato a prendere un numero dopo l’altro… quando me ne mancavano solo 3 ho cominciato ad emozionarmi… ma ormai era fatta, la pecora era mia!!! Ho vinto a pari merito con un altro, quindi avremmo dovuto squartare la pecora all’istante per dividercela oppure contrattare una compravendita. Ho deciso di regalare la mia mezza pecora al sindacato che ne facesse quello che voleva e non ho nemmeno voluto vedere la povera bestiola. Però è stata davvero un’emozione vincere! Il giorno dopo la mattina sono andata a Capim Grosso perché era previsto il comizio del PT col candidato governatore, ma ho ascoltato solo la musica prima dei discorsi, perché poi sono partita per Salvador per andare a prendere un mio collega del Magis, la ONG per cui lavoro, che veniva a visitare il progetto. Dopo due giorni a Salvador siamo tornati qua alla scuola e la mattina dopo siamo subito partiti per partecipare alla gita scolastica degli alunni del 3° anno! Partenza alle 4 del mattino, al suono dei tamburi (che non hanno smesso mai di suonare per tre giorni… aargh!), in stato semicomatoso. Il mio collega che non si era ancora ripreso dal fuso orario non era proprio entusiasta di partecipare, ma lo abbiamo praticamente costretto. La gita era un viaggio di studio nel Nord della Bahia per visitare alcuni enti e organizzazioni che lavorano in questa realtà del semi-arido, con pecore e capre. Ma ve la immaginate una classe italiana in gita a vedere delle capre? ti sputerebbero in un occhio… invece questi ragazzi sono ammirevoli per l’interesse e la maturità che dimostrano, ascoltavano, facevano domande, osservazioni, commenti.. Un altra cosa che mi ha colpito sono le condizioni climatiche di questa zona a nord. Credevo che qui a Jaboticaba fosse secco, ma al confronto con quella regione questo è un giardino! Là è proprio un deserto: terra bruciata, senza erba, alberi-arbusti grigi senza foglie che sembrano secchi (ma quando piove si risvegliano), terreno sabbioso, una mucca morta vicino ad una pozza ormai prosciugata, altre magrissime…, qualche rara capra che non si sa di cosa viva. E un sole torrido che ti cuoce. Eppure anche in queste condizioni estreme si può vivere, come ci ha dimostrato il signor Isaias, un uomo fantastico che ha colpito tutti quanti. Questo agricoltore è riuscito a “trovare la vocazione di questa terra”, come lui dice, cioè a capire come poterla far fruttare, principalmente con l’allevamento di capre. Possiede un gregge di 200 capi, 2 pozzi (è rabdomante, ha trovato dove era l’acqua), 3 cisterne per l’acqua piovana, una fossa di raccolta, campi seminati con cactus, sorgo e granoturco quando piove, anche se sembra incredibile che nasca qualcosa in quel deserto di sabbia. E la casa è molto carina, di buona qualità, tutto è in ordine, anche all’esterno. È un uomo innamorato della sua terra. Ha lavorato per 17 anni a San Paolo, ma col sogno di tornare alla sua “mamma terra” come lui la chiama. E c’è riuscito, ed ora è felice, come ci ha ripetuto spesso. Era veramente commovente vedere quanto amore aveva per questa sua terra arida e povera ma dalla quale lui è riuscito a tirare fuori la vita. Si gestisce 52 ettari da solo, quando è arrivato dai campi sotto il solleone, non pareva nemmeno stanco e ci ha accolto con molto affetto. Grazie signor Isaias per questa lezione di vita, non la dimenticherò mai… E rieccoci sull’autobus ad affrontare altri chilometri e chilometri di strada battuta. Il mio collega intanto, che adora chiacchierare, mi cuoceva le orecchie più del solleone: mi ha raccontato tutta la sua vita e la vita di tutti i suoi conoscenti, anche i più lontani, in risposta alla mia sola domanda su come aveva imparato lo spagnolo….. Vabbeh, ma questo è il minimo che mi merito per averlo trascinato in questo terrificante viaggio! E poi è una persona eccezionale, con una vitalità ed un entusiasmo incredibili per la sua età!

Il viaggio è proseguito alla volta della città storica di Canudos. E qui si apre un capitolo estremamente interessante della storia brasiliana. Canudos fu teatro di una sanguinosa guerra nel 1897. Canudos era stata fondata da tal Antonio Conselheiro una specie di leader sociale religioso molto affascinante ed amato, che dopo anni di peregrinazione nel sertão, predicando la religione cristiana, aveva iniziato ad organizzare una comunità di ex schiavi e povera gente. Tutto veniva fatto comunitariamente, suddividendo i compiti a seconda della vocazione di ognuno e provvedendo alle necessità di tutti, in armonia. La cosa incredibile è che questa comunità in 4 anni si era andata ingrandendo fino ad arrivare a 20.000 persone, richiamando tutti i poveri e gli emarginati delle regioni vicine e funzionando sempre con la struttura comunitaria che vi ho detto. Era diventata la seconda città della Bahia, dopo Salvador, e questo al governo non piaceva! Così approfittando di un pretesto, l’esercito cominciò la guerra contro questa città. La resistenza fu eroica, dovettero venire 5 battaglioni prima di conquistarla dopo 8 mesi. La quarta spedizione, dopo le prime tre fallimentari, era comandata dai più grandi generali e addirittura dal ministro della guerra. Ormai si trattava di una questione di orgoglio nazionale, l’esercito questa volta alla fine ebbe la meglio e massacrò tutti i cittadini nei modi più orribili, torturandoli e decapitandoli. Il fuoco sotto cui crollò Canudos fu tale per cui ancora oggi abbiamo trovato proiettili nel terreno! L’esercito risparmiò solo alcune donne, per mandarle nelle case di prostituzione a Salvador. E poi distrusse tutto della città, bruciò tutto, non rimase nemmeno una pietra. La testa mozzata di Conselheiro fu portata in trionfo. Si calcola che morirono almeno 15.000 persone. Dopo 30 anni alcuni dei pochissimi superstiti che erano riusciti a salvarsi tentarono di fondare nuovamente Canudos, ma pochi anni dopo il governo scelse un altro modo per eliminare la memoria di questa città tenace, volendo costruire un lago artificiale proprio lì, in modo che sommergesse la nuova Canudos. Così ora rimane solo, sotto alle acque del lago, qualche resto della seconda Canudos, che riaffiora quando la siccità è eccezionale, a ricordare la tragedia di una città fiera e leggendaria. Il lago, nonostante la mancanza di acqua nella regione, non serve praticamente a nulla perché i terreni intorno non sono fertili e comunque sono tutti di proprietà dello stato. Ancora oggi quindi lo stato cerca di umiliare questa città fantasma che aveva dimostrato che si poteva vivere in armonia secondo leggi diverse da quelle dello stato, basandosi sulla solidarietà e sulla giustizia. Cosa sarebbe oggi Canudos? È questa la domanda che gli storici si fanno e per la quale purtroppo non c’è risposta. Chissà forse il Brasile sarebbe stato diverso, se su quell’esempio fossero sorte una dopo l’altra tante Canudos…

Con tanti pensieri lasciatimi dentro da questa città fantasma (di cui non si vede assolutamente nulla, nemmeno una pietra di una casa è rimasta, si è salvato solo il crocifisso della chiesa che ora sta in un museo, ma si sente tutto il suo passato passare come un brivido sulla pelle), col dolore per tutte quelle vittime innocenti, con la curiosità per questa storia.. ci siamo messi infine in viaggio per tornare a casa, tra canti, musica e danze.