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12 Febbraio 2003: un incontro … sconvolgente

L’episodio che mi ha segnato in questi giorni però è stato un incontro terrorizzante che ancora mi stupisco non mi sia venuto un infarto (e chi mi conosce bene capirà perché). L’altra sera me ne stavo tranquilla nel refettorio ad assistere il telegiornale (una delle poche cose guardabili della TV brasiliana) quando, per fortuna, abbasso gli occhi e vedo dirigersi a gran velocità in mia direzione, un mostro, un ragno di dimensioni inimmaginabili. Un mio urlo di venti secondi ha squarciato l’aria di tutto il sertão e ho percorso i 12 metri del refettorio in 2 nanosecondi per rifugiarmi all’altro estremo della sala, sotto lo sguardo allibito di colleghi e alunni. Il mostro si deve essere spaventato più di me perché si è immobilizzato dove era al momento dell’urlo lancinante (chissà che cosa ha pensato che io fossi, per terrorizzarlo a tal punto). La bestia, tanto per darvi un’idea, aveva il corpo delle dimensioni di una pallina da tennis e zampe enormi e pelose con un’apertura di 20-30 centimetri… aargh!! Dal mio rifugio nell’angolino ho iniziato a supplicare Valdivino di ucciderlo, l’idea che fuggisse e ritrovarmelo sulla porta di casa mi terrorizzava ancora di più. Solo che Val, tanto per tranquillizzarmi, mi diceva che era un po’ pericoloso perché i peli del ragnaccio sono molto irritanti. Sono andata in casa a cercare un giornale per imprigionarcelo sotto, col cuore in gola, guardando dove mettevo i piedi…  Tornata nel refettorio dopo 5 minuti, il mostro era scomparso. Oddio… è fuggito… aiuto… come farò a uscire di casa? No, per fortuna no, Valdivino l’ha ammazzato. Come? Prendendolo a bastonate, ebbene sì, voi che i ragni li spiaccicate con la ciabatta.. immaginatevene uno che per ammazzarlo bisogna prenderlo a bastonate! E si ribellava cercando di mordere (ha i denti, li ho visti io!)… Per tranquillizzarmi ulteriormente Valdivino, che era un po’ provato dalla lotta, mi ha spiegato che un morso di quel ragno uccide un bambino, mentre un adulto ha qualche possibilità in più di salvarsi. …. e me lo dice così???? Ora, per chi conosce il mio panico da insetti europei… capite bene che ho rischiato la morte non tanto per il morso del ragno quanto per un attacco cardiaco! Ma approfitterò di questo episodio per raccontare qualcosa della fauna entomologica locale. Qua in effetti è tutto di dimensioni decuplicate. Ci sono formicone giganti di 5 centimetri e farfalle notturne con l’apertura alare di un gabbiano. Anche gli scarafaggi sembrano allevati con gli steroidi, perché raggiungono tranquillamente le dimensioni di una palla da ping pong e le cavallette quando atterrano dopo il salto provocano scosse di terremoto del quarto grado della scala Richter. I restanti deliziosi animaletti sono di dimensioni più ragionevoli ma si difendono con la quantità: nugoli di amantidi religiose, farfalle, coleotteri, mosche, formiche di tutte le misure, api, calabroni da mezz’etto, vesponi, libellule e altre cose sconosciute di cui non so il nome, cimici dalla puntura mortale (morte che avviene però a distanza di anni, bastardone!). Dopo la pioggia poi è una tragedia, la natura si risveglia e avvengono delle vere e proprie invasioni, soprattutto di coleotteri e mosche, e naturalmente appaiono le zanzare. Una specie di zanzara può portare la dengue, una malattia che a seconda delle forme può essere anche grave, ma succede soprattutto dove non c’è controllo e prevenzione. Qui dovremmo essere abbastanza tranquilli. L’anno scorso a Rio di Janeiro c’è stata un’epidemia che ha lasciato diverse centinaia di morti. Bene, tutto questo per invogliarvi a venirmi a trovare! No tranquilli, la situazione non è così drammatica. E poi, se io sono ancora qui, vuol dire che chiunque può sopravvivere.  Lasciando il regno degli insetti passiamo ai volatili, e qui sarebbe la gioia dei soci della Lipu: uccellini di tutti i colori, colibrì, pappagallini splendidi, cinguettano ininterrottamente già alle 5 di mattina e scagazzano la mia veranda… Ah che poesia! I pipistrelli che si infilano nel mio sottotetto invece sono più tranquilli. Poi ci sono degli uccelli bianchi che vivono in simbiosi con le mucche, mangiando loro i parassiti o gli insetti intorno. Alla sera questi uccelli bianchi vanno tutti a dormire sugli alberi sommersi del lago e da lontano gli alberi sommersi sembrano tutti ricoperti fiori bianchi. È uno spettacolo, specialmente se poi ti avvicini e si alzano tutti in volo! Nel lago ci sono pesci, tartarughe e qualcuno narra anche coccodrilli (jacarè), ma non ho mai conosciuto nessuno che ne abbia visto uno di persona. Ah naturalmente poi ci sono varie specie di serpenti, e non poteva mancare quello velenoso. Poi ci sono moltissimi avvoltoi che mangiano le carogne degli animali morti o attaccano quelli malati.  Tra gli animali domestici cani, gatti, galline, maiali, pecore, capre, mucche, asini, muli, cavalli. Sicuramente ho dimenticato qualcuno ma un’idea l’ho data vero? Comunque per chi viene a trovarmi è garantita una zanzariera a prova di bomba…

22 Dicembre 2002: in partenza per le vacanze di Natale

Vi sto scrivendo dall’aeroporto di São Paulo, col portatile. Mi sento molto “executive” in questa situazione, ma la mia borsa vecchia e sporca e lo straccio di maglietta che indosso tradiscono subito le mie umili origini. Ieri ho lasciato Jaboticaba, in un giorno pieno di emozioni e anche un po’ di stress, visto che dovevo fare le valigie, sistemare cento cose prima della partenza, salutare un sacco di persone, svuotare e sbrinare il frigorifero, non dimenticarmi niente, ecc… Le emozioni sono state dovute alla cerimonia di conclusione dei ragazzi del terzo anno. È stata una cosa molto bella, iniziata con la Messa. I ragazzi si sono fatti il vestito tutti uguali, molto semplice, ma di grande effetto. Il giorno prima le ragazze erano già arrivate con enormi bigodini sulla testa per lisciare i capelli e alla cerimonia erano tutte splendide. Ogni studente è entrato accompagnato dal suo padrino o madrina. Sembrava una sfilata di moda perché per l’occasione ognuno sfoggiava il vestito più bello, molte ragazze madrine erano in abito lungo e sembravano delle principesse al ballo. Anche i genitori erano tutti in ghingheri, è il giorno più importante per loro e per i loro figli e si vestono come fossero principi, anche se quello che hanno indosso è l’unico vestito buono e quelle sono le uniche scarpe che non siano le ciabatte di plastica che portano ogni giorno. Quanta dignità in queste famiglie! Quanta voglia di dimenticare di essere poveri, almeno per un giorno. Poi finita la Messa è stata la volta dei discorsi, molta gente ha fatto gli auguri e le “raccomandazioni” ai ragazzi per il loro futuro. Mi hanno invitato a parlare, ma sul finire del discorso la commozione mi ha tradito e ho versato lacrimoni di nostalgia, che vergogna! Però sarà una di quelle cose che si ricordano, almeno per una settimana ci sarà gente che ne parla. Ogni padrino/madrina poi ha consegnato il diploma al suo studente e finalmente si è passati ai festeggiamenti. I ragazzi la sera prima avevano cucinato 500 pastel e 20 torte, il padre da Salvador aveva portato 20 bei pescioni e così la folla di amici e parenti si è riempita lo stomaco in allegria e io, con il vestitino della festa, mi sono ritrovata a distribuire il pesce e a togliere lische. Ma è già quasi ora di partire per Salvador. Corro a chiudere le valigie, vorrei mettere un po’ d’ordine in casa, ma non c’è tempo, lascio tutto all’aria, intanto tra meno di un mese sono di nuovo qui. Parto con un po’ di “saudade” e con la voglia di tornare. Decine e decine di abbracci e di auguri mi accompagnano, sento una grande rete di affetto e di attenzione per me, che nemmeno me la merito tutta! È la prima volta dopo quasi 6 mesi  che lascio il Brasile per tornare in Italia a passare le vacanze di Natale. Forse avrei voluto dire per tornare “a casa”, ma ieri tutte le volte che dovevo dire questa frase, mi rendevo conto che dire “tornare a casa” mi suonava stonato, perché sentivo che la mia casa adesso è a Jaboticaba. Invece che essere strafelice di rivedere Genova, c’era in me un fondo di malinconia per lasciare la mia casetta, gli amici-colleghi, Josenildo, la gente dei villaggi… E questo mi ha spaventata moltissimo. Se già adesso mi sento così, ora che vado via solo per 20 giorni, cosa succederà quando tra 1 anno e mezzo finirà il mio lavoro qui e tornerò definitivamente in Italia? Paura… paura… terrore, ma è presto e non ci voglio ancora pensare. A dire il vero qualche pensiero già si affaccia invadente nella mia testa. Lasciare tutto e vivere là nel sertão… Dio mio, quanta paura mi fa, ma c’è un fondo di attrazione, altrimenti questi pensieri non mi passerebbero per la testa. Cosa mi fa paura? Potrei dire la lontananza dalla famiglia… ma non è questo, o almeno non è il motivo più grande. Mi fa paura la povertà.  Mi terrorizza vivere con 150 euro al mese in un paese che non può offrirmi di più, in una regione dove mancano l’assistenza medica, gli svaghi, le infrastrutture. Ho paura della vita semplice e povera. Ma contemporaneamente mi attrae, perché nella vita semplice c’è l’autenticità, c’è più solidarietà, meno complicazioni. Noi ricchi abitanti del primo mondo siamo infinitamente tristi e depressi in confronto ai poveri, nonostante essi abbiano da preoccuparsi delle esigenze fondamentali della vita, come mangiare, avere un tetto sotto cui dormire e curarsi dalle malattie. Ma qui tra i poveri ho trovato quella felicità che in Europa sembra scomparsa, la semplicità di vita diventa anche semplicità di pensieri e sono finite le seghe mentali per problemi inesistenti che attanagliano il quotidiano di un qualsiasi italiano, sono finite le depressioni causate da inezie e i rapporti problematici con il prossimo. Forse sto vivendo una situazione privilegiata, in mezzo ai poveri del Brasile con possibilità da italiana, con la tranquillità che qualsiasi cosa di cui abbia bisogno me la potrò permettere. In questa situazione è più facile sentire la felicità e vedere le cose con gli occhiali rosa. Se venti pecore fossero l’unica mia ricchezza e stessero morendo di fame perché non c’è più un filo d’erba, e se avessi un figlio malato che non posso curare… forse non sarei qui a parlare di felicità come una ingenua viziata occidentale. Nonostante ciò resto convinta che la vita qua, nel sertão, sia più autentica e bella, gli abbracci della gente sono segni di vero amore, la cordialità e l’accoglienza incondizionata sono affetto vero. Beati voi poveri, perché vostro è il Regno dei Cieli, così parla Gesù Cristo nel discorso della montagna. Quante interpretazioni di questo passo si sono date. Oggi ne ho intesa una nuova, che è quella del significato letterale, che sempre mi era sembrata assurda.  Beati uguale felici, uguale invidiabili, per essere poveri, sì proprio così. Beati voi che siete nati poveri e vivete questa vita vera e ricca, sfortunata io che sono nata  ricca e non riesco a liberarmi della ricchezza, che mi rende triste e insoddisfatta. Il Regno di Dio sta in mezzo a voi, ma pochi se ne rendono conto. Forse neppure voi ve ne rendete conto, frastornati come siete da quello che mostra ogni giorno la televisione, la quale fa diventare assolutamente necessario il superfluo. Beati senza saperlo, magari anche voi con la vostra piccola maledizione di cercare la ricchezza pensando che sia la felicità. Ma un altro dubbio mi assale poi, che in un certo senso contraddice tutto quanto ho scritto finora: non sarà che fuggire verso i poveri per cercare la felicità sarà solo una fuga facile (?) dal grigiore dell’Europa, una fuga dall’affrontare le tristezze e i problemi del vecchio continente, una fuga dalla responsabilità di riportare il ricco Occidente alla coscienza della giustizia per  tutti i popoli? Lavorare per i poveri da dentro la culla dei ricchi è ben più difficile che lavorare nel sertão, mille volte più difficile e insoddisfacente. Ma bisogna che qualcuno lo faccia, altrimenti il solco già profondo tra noi e loro diventerà sempre più una voragine. Vincere la paura… È una sfida, un travaglio, dolore. E non so chi vincerà e come finirà.

12 Novembre 2002: Fantozzi in viaggio nel sertao

Sono qui reduce da una giornata massacrante…  Ecco come è andata: siamo stati invitati a presentare il nostro progetto ad un incontro regionale a Ruy Barbosa, la cittadina sede della nostra diocesi (a soli 200 chilometri di distanza, comodo eh!). Mi sono quindi messa a disposizione per guidare la terribile Kombi di Suor Vivalda (vecchissimo pulmino 9 posti Wolkswagen, quello coi fari tondi… ogni tanto si incontra ancora qualche figlio dei fiori sessantenne che ci va in vacanza per l’Europa. Avete capito quale è?). L’incontro iniziava alle 9, il tempo previsto di viaggio erano quasi tre ore e naturalmente io Josa e Eliezer ci siamo dati appuntamento per partire alle 7 (e per chi sa un po’ di matematica.. già manca un’ora al bilancio). Naturalmente però Josa ha accumulato un ritardo di un’ altra ora per raccogliere tutto il suo materiale, andare in banca, scambiare pettegolezzi con tutti gli impiegati e gli abitanti di Quixabeira. Io, che mi sentivo quasi milanese in quel frangente, guardavo l’orologio scalpitante, mentre la lancetta segnava già le 8 e avevamo fatto solo 9 chilometri… Finalmente ci rimettiamo in marcia, ma appena arrivati a Capim Grosso (dopo 32 chilometri) ecco che il motore della malekombi (= maledetta kombi) comincia a perdere colpi. Ore 8:30 eccoci quindi dal meccanico che sistema il problema (speriamo). Ore 9 finalmente partiamo da Capim Grosso, ci sono solo 170 chilometri di strada sertaneja per arrivare in orario. Io schiaccio l’acceleratore, il motore pare funzionare e la strada scorre abbastanza veloce, non ci sono nemmeno tanti buchi. Visto che già siamo in ritardo… ci concediamo una colazioncina (8 pezzi di torta e 7 bicchieri di succo di frutta in tre…). E così, rilassati e con la panza piena, proseguiamo ammirando il bel paesaggio, che qui è collinoso, molto verde, con tanti alberi. Per chi è abituato alla pianura secca e spoglia di Jaboticaba, è un piacere per la vista, qua e là anche qualche fazzoletto di foresta originaria, alberi alti, particolari, con un loro fascino. Jaboticaba e tutta la regione intorno nei decenni passati erano così, poi hanno distrutto tutta la vegetazione di alto fusto. La fame e l’ignoranza hanno trasformato tutto in pascolo che poi si è inaridito sempre più fino a restare terra secca… L’ecosistema di queste terre difficili è molto fragile e la natura maltrattata risponde. Chissà come era bello quando c’erano gli alberi. Ma torniamo al nostro viaggio. Rilassati dunque passiamo Baixa Grande e sicurissimi di noi, nonostante la totale assenza di indicazioni, proseguiamo su un lungo stradone. Dai nostri calcoli mancano una settantina di chilometri. Lo stradone sembra una pista nel deserto nel senso che non si incontrano anima viva né case per chilometri e chilometri.  Ma finalmente ecco lì un gruppo di case, ehi c’è qualcuno che si sbraccia per fermarci, c’è una donna incinta sorretta da altre due. Che facciamo?  Ci fermiamo. La ragazza è in piena crisi respiratoria e forse anche isterica, sta male, la issiamo sul pulmino e in quel momento scopriamo che siamo completamente fuori strada! Ruy Barbosa è dalla parte opposta ed è quasi mezzogiorno. Presi dal panico del ritardo e dell’errore, diciamo alle donne che dobbiamo tornare indietro, facciamo scendere la partoriente, ma sulla strada non passano altre macchine… Ci viene subito il rimorso e decidiamo di accompagnarla anche se ci porta ancora più distante. Tanto ormai siamo in ritardo… Tre o quattro ore di ritardo che differenza fa? Torniamo indietro, ricarichiamo quindi la partoriente semimoribonda sul pulmino. Io mi immagino già di assistere al mio primo parto visto nello specchietto retrovisore, ma finalmente arriviamo alla clinica e scarichiamo la ragazza e le sue amiche tra mille benedizioni e ringraziamenti.  E quindi eccoci completamente fuori strada. Chiediamo informazioni e un gruppetto di persone alla fermata dell’autobus ci spiega la strada e poi naturalmente ci chiede un passaggio. Ricarichiamo la Kombi con i nuovi passeggeri e affrontiamo gli ultimi 140 chilometri. Finalmente alle 13:20, con sole 4:20 ore di ritardo arriviamo alla EFA di Ruy Barbosa. Quei santi che ci aspettavano non sono nemmeno arrabbiati, ci danno pure da mangiare! Alle 14 presentiamo il progetto, spiegando tutte le sue varie articolazioni, i successi, le difficoltà, la storia, ecc… Sono tutti interessatissimi e ci fanno i complimenti. Alle 16 l’incontro finisce e ripartiamo, questa volta staremo molto attenti a non sbagliare strada. L’asfalto è buono, la Kombi fa un rumorino strano ma dopo un po’ passa, il paesaggio collinare e il verde mi ricordano le strade di campagna dell’entroterra ligure-piemontese, che bello! Mentre guido affiorano ricordi, un albero, una curva, somiglianti ad un altro albero, un’altra curva dall’altra parte del mondo… Questa volta imbrocchiamo tutte le strade e in poco più di due ore eccoci finalmente a casa.  Risultato: 600 chilometri in 8 ore, la schiena a pezzi, la sciatica, gli occhi che mi bruciano e la consapevolezza che non potrò mai fare la camionista!  E adesso … Buonanotte!

p.s. una notizia grandiosa: finalmente ho il telefono in casa



14 Ottobre 2002 : lavarsi….

Il titolo non è una esortazione, ahimé, alla purificazione spirituale… ma proprio a quella materiale. Il fatto è che da tre giorni nella scuola siamo senza acqua corrente perché si è rotta la pompa. E così arranco avanti e indietro col secchio, per tirare su l’acqua dalla cisterna. Generalmente durante questa operazione me ne verso metà addosso… così una parte del bagno è già fatta. Arrivo quindi col secchio nella doccia e comincia il gioco dei travasi negli altri secchi. Il primo che ho usato era bucato ma me ne sono accorta solo dopo due ore quando il bagno era una piscina… Comunque l’essere umano ha capacità di apprendimento e così al terzo giorno ho già perfezionato le tecniche (la bacinella per i piedi, il vaso dei fiori – nuovo – per il bidet…, l’acqua riciclata per lo sciacquone..).  Ho scoperto così che per lavarsi in realtà è sufficiente pochissima acqua: con meno di mezzo secchio ci si lava tutto il corpo (esclusi i capelli). Però ci si mette il triplo del tempo e della fatica. E penso a tutta la gente di qua per cui questo è normale (quasi nessuno di quelli che abitano nei campi ha l’acqua corrente). Una cosa per me banale e scontata, per altri è ben più complessa (anche se per loro poi è normale). Quando si va in giro, nei pressi delle paludi si incontrano sempre le donne che fanno il bucato: arrivano a piedi con le ceste di vestiti sporchi e dopo qualche ora le recinzioni tutto intorno alla palude diventano un arcobaleno di panni stesi ad asciugare! Si incontrano poi i carretti trainati dall’asino o dal bue o dal cavallo con bidoni d’acqua da riempire: tutti i giorni vanno avanti e indietro a prendere l’acqua fangosa degli stagni per portarla a casa. Non tutte le case poi hanno la cisterna “de bica” (cisterna che raccoglie l’acqua piovana delle grondaie del tetto), che comunque è usata solo per bere e cucinare. Immaginatevi cosa beve chi non ha nemmeno la cisterna… I vermi, l’ameba, la dissenteria, sono malattie diffusissime, soprattutto nei bambini. La cisterna “di grondaia” e l’uso dei filtri, se usati correttamente, possono risolvere il problema. È per questo che esistono molti progetti sia di entità brasiliane che straniere, per la realizzazione delle cisterne per l’acqua piovana, che rimane comunque una tecnologia piuttosto recente nella storia del sertão. Ma torniamo a me e ai miei piccoli problemi di acqua… La cosa che mi ha mandato un attimo in crisi in questi tre giorni è che, non essendo abituata ad usarla facendo la doccia, non avevo la spugna. O meglio una ce l’avevo: quella dei piatti (sì, quella gialla e verde, proprio lei, col verde ruvido..), era poco usata e quindi facendo attenzione a non sbagliare colore, ho scoperto che è un’ottima spugna da bagno, un po’ piccola ma ottima per risparmiare acqua e con tanto di versione esfoliante (lato verde). Ora però vi chiederete se dopo essermici lavata i piedi continuerò a lavarci i piatti….Non ve lo dirò mai!