19 Novembre 2003: razzismo al contrario

L’altro giorno forse per la prima volta in vita mia sono stata oggetto di razzismo. Dovevo fare l’ecografia di controllo alla mia ciste e così mi sono recata alla clinica privata più economica di Salvador. Ero in coda in una angusta stanzetta e c’erano anche una giovane donna di colore con un grande pancione e la sua anziana mamma. La ragazza aspettava due gemelli ed era molto tranquilla, l’anziana madre invece era così isterica e agitata che sembrava ne aspettasse sei. Erano in coda da un po’ di tempo e la madre lamentava continuamente ad alta voce che sua figlia avrebbe dovuto passare avanti a tutti, visto lo stato in cui si trovava, una solfa infinita, la ragazza cercava di calmarla, ma quella continuava con le sue lamentele. Ad un certo punto è uscita la dottoressa e ha detto alla ragazza che siccome il suo era un caso un po’ speciale l’avrebbe vista per ultima per esaminarla con più calma e attenzione. La ragazza ha annuito tranquilla, ma la madre… apriti cielo! Ha iniziato a scaldarsi e ad inveire, una pentola a pressione borbottante e fischiante. Dopo cinque minuti che sproloquiava io ho avuto la pessima idea di commentare “beh, signora se ha detto così è perché vuole visitare con più cura sua figlia, è per il bene di sua figlia…”. Mi fossi mangiata la lingua e le corde vocali! La pentola a pressione è esplosa in tutto il suo fragore, la vecchia ha iniziato ad insultarmi con occhi di fuoco e continuava a chiamarmi “questa bianca del cazzo” davanti a tutti, per poco mi mette le mani addosso, ho temuto per la mia incolumità fisica, mentre la figlia si scusava e cercava di calmarla. Ha continuato a borbottare improperi contro il colore della mia pelle per altri quindici minuti, ma nel frattempo io mi ero calata in una concentratissima lettura della prima rivista che ho trovato. Il  mese scorso invece mi è successa una cosa più divertente. Dovevo portare a riparare una valigia che mi avevano rotto in aereo, in un negozio nella “cidade baixa” di Salvador, uno dei quartieri più malfamati della città. Era già tardi, ma il giorno dopo dovevo tornare a Jaboticaba e così ho telefonato al negozio dicendo se mi aspettavano prima di chiudere. Il tipo mi ha chiesto il nome e poi di dove ero, perché la mia voce e il mio cognome lo incuriosivano; gli ho detto che ero italiana e… tutto bene, mi avrebbe aspettato. Mi sono avventurata così nelle vie squallide e poco frequentate nei pressi del “piano inclinato”, con la cartina della zona stampata nella testa (se l’avessi tirata fuori avrebbero capito subito che ero una turista dispersa e chissà che fine avrei fatto), una mano in tasca sul cellulare, fingendo di conoscere benissimo la zona e avere una meta precisa, con anche un po’ di fretta. Credendo quindi di essermi perfettamente mimetizzata con la popolazione locale (è normalissimo andare in giro trascinando una enorme valigia vuota… non mi noteranno mai!) riesco a trovare la via del valigiaio. Appena la imbocco, passando davanti a un bar, alcuni barboni e altri personaggi inquietanti cominciano ad additarmi dicendo “È arrivata la bianca, è arrivata la bianca!” e pare vogliano spargere la voce a tutto il vicinato. Oh Gesù, adesso mi rapiscono e mi vendono a qualche ricco fazendeiro dell’Amazzonia!… Uno dei barboni ubriaco comincia a seguirmi, non capisco un accidente di quello che dice, continua a dire che è arrivata la bianca, e io gli faccio sorrisetti di circostanza accelerando il passo.  Ma che vuole? Il mio travestimento da abitante del luogo non ha proprio funzionato, ahimé. C’è qualcosa però che non capisco: possibile che qui non abbiano mai visto un bianco? Perché insistono così con la sottoscritta? Mi daranno una botta in testa e domani mattina mi ritroverò senza un rene? Mi ruberanno tutto quello che ho? Mi salteranno addosso dieci barboni puzzolenti?  Oh, buon Dio, abbi pietà di me e dei miei peccati, voglio rivedere la mia mamma! Finalmente, sempre inseguita dal barbone trovo il negozio, con le saracinesche già quasi abbassate, il padrone mi apre e mi fa entrare (ci sarà da fidarsi?). All’improvviso capisco tutto: il valigiaio che durante il giorno non si ammazza di lavoro, deve avere commentato con gli abitanti della via che quella sera doveva restare aperto mezz’ora in più per aspettare una ragazza italiana. Deve essere stata la notizia del giorno per la banda di disperati del bar e della via, che quindi attendevano con ansia e curiosità il mio arrivo. Forse si aspettavano Sofia Loren, poverini chissà che delusione! E il barbone probabilmente non mi stava importunando, ma era stato così gentile da volermi accompagnare fino al negozio. Ma che carini… Al ritorno, completamente rilassata, mi sono quindi fermata a salutare tutti gli avventori del bar e gli abitanti della via, con strette di mano e persino un abbraccio al barbone. Non sarò Sofia Loren ma forse si ricorderanno di me, almeno per qualche giorno.

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