Category Archives: Diari di Viaggio

29 Marzo 2004: un po’ di sconforto…

Sono un po’ demoralizzata… Certi giorni negli ultimi tempi mi sembra che Jaboticaba sia diventato un piccolo inferno. Alcuni colleghi e la comunità non riescono più a gestire i conflitti tra di loro, i piccoli problemi diventano giganteschi, mancano il dialogo e l’ascolto. Io sono arrivata qui con uno spirito di servizio, ma ultimamente non sto riuscendo a servire all’armonia e al dialogo tra queste persone. Cerco allora di tenermi un po’ al di fuori, di non farmi coinvolgere dalle parti, perché non riesco a farle dialogare, perché sono stanca di questa situazione, perché ho paura di dire parole sbagliate e non essere imparziale e perché poi tra poco tornerò in Italia… La settimana scorsa mi sono ritrovata ad alzare troppo la voce in una riunione, non è così che voglio parlare con le persone, ma ho perso il controllo. Ho paura di non sapermi controllare abbastanza e che possa succedere di nuovo. D’ora in poi cercherò di tenermi fuori dalle discussioni che trattano questioni relazionali, vorrei cercare di mostrare un atteggiamento di pace, ma è difficile anche per me. I pettegolezzi poi qui in questo piccolo paesino sono lo sport preferito dalla popolazione, inventano qualsiasi cosa pur di mettere in cattiva luce il proprio “nemico”. Come far loro capire che non servono a nessuno, nemmeno a chi li inventa? Del resto mi rendo conto che sono le stesse cose che accadono ogni giorno in Italia e in qualsiasi parte del mondo, purtroppo. Devo farmi forza, per affrontare nel modo migliore questi ultimi mesi, perlomeno non voglio fare danni.

27 Gennaio 2004: una pioggia rara e riflessioni sulla cooperazione

A volte rifletto sul modo migliore di intervenire nei paesi in via di sviluppo… sono arrivata alla convinzione che la cosa fondamentale per sviluppare un paese è l’educazione, la formazione, la crescita culturale. Non serve fare opere, strutture, progetti, se le persone non sono in grado di gestirle. Forse è meglio sacrificare qualche infrastruttura e fare studiare più giovani, mandarne qualcuno all’università. C’è scarsa conoscenza, sia nelle cose pratiche come fare i conti, scrivere, leggere, gestire il lavoro, sia nelle relazioni tra persone, nella comunità. Bisogna investire nell’educazione, a tutti i livelli. A volte penso che troppi soldi possano portare cose negative e rendere peggiori le persone. Ma queste sono le riflessioni di una semplice volontaria che conosce questa realtà solo da poco più di un anno, quindi potrebbero anche essere ingenue e sbagliate. Ma passiamo a cose più concrete, come per esempio la pioggia. È venuta giù come Dio comanda, in tutto il Nordest del Brasile, che è la regione più secca del paese. Qui è piovuto una settimana, in altre regioni anche di più, era da molti anni che non si vedeva una pioggia del genere. Essendo una regione pianeggiante dove non piove mai, si sono formate lagune dappertutto, i letti dei rari fiumi generalmente  completamente asciutti si sono riempiti di acqua, a volte portandosi via le casupole costruite sulle rive. Ci sono stati allagamenti un po’ ovunque, non vi dico come sono ridotte le strade! Normalmente sono già disastrate e piene di buchi, durante le piogge alcune diventano impraticabili, si sono aperte nuove voragini, le macchine restano impantanate o non riescono a superare le salite. Ma nonostante ciò, qui sono tutti contentissimi, è un continuo “graças a Deus” per la pioggia. Io detesto la pioggia e a volte mi è scappato di dirlo, poi Josa mi ha avvisato che non devo farlo perché qui è considerata una cosa molto brutta, offensiva, una mancanza di rispetto! Vabbeh, ne ho imparata una nuova e mi rendo conto di come tutto è relativo, ciò che è male per una persona può essere ottimo per un’altra. E ne ho già avuti molti esempi. Adesso è tutto verde che sembra il Trentino (beh… in Trentino a dire il vero le palme non ci sono…), ma non bisogna illudersi, perché questo sole feroce ci mette un attimo a seccare tutto di nuovo. Per il resto, tra due settimane abbiamo l’obiettivo di mandare il miele della regione nello stato del Piauì per fare un’esportazione per una piccola cooperativa di commercio equo che ho visitato durante le vacanze di Natale.  Abbiamo l’idea di fare un pullman e seguire il carico fino in Piauì, anche per visitare l’associazione locale che farà per noi l’esportazione. Sarà un viaggio divertente, nessun carico ha mai viaggiato con 25 persone di scorta al seguito! Comunque finché non  vedo il miele arrivare a Simplicio Mendes non ci credo

19 Novembre 2003: razzismo al contrario

L’altro giorno forse per la prima volta in vita mia sono stata oggetto di razzismo. Dovevo fare l’ecografia di controllo alla mia ciste e così mi sono recata alla clinica privata più economica di Salvador. Ero in coda in una angusta stanzetta e c’erano anche una giovane donna di colore con un grande pancione e la sua anziana mamma. La ragazza aspettava due gemelli ed era molto tranquilla, l’anziana madre invece era così isterica e agitata che sembrava ne aspettasse sei. Erano in coda da un po’ di tempo e la madre lamentava continuamente ad alta voce che sua figlia avrebbe dovuto passare avanti a tutti, visto lo stato in cui si trovava, una solfa infinita, la ragazza cercava di calmarla, ma quella continuava con le sue lamentele. Ad un certo punto è uscita la dottoressa e ha detto alla ragazza che siccome il suo era un caso un po’ speciale l’avrebbe vista per ultima per esaminarla con più calma e attenzione. La ragazza ha annuito tranquilla, ma la madre… apriti cielo! Ha iniziato a scaldarsi e ad inveire, una pentola a pressione borbottante e fischiante. Dopo cinque minuti che sproloquiava io ho avuto la pessima idea di commentare “beh, signora se ha detto così è perché vuole visitare con più cura sua figlia, è per il bene di sua figlia…”. Mi fossi mangiata la lingua e le corde vocali! La pentola a pressione è esplosa in tutto il suo fragore, la vecchia ha iniziato ad insultarmi con occhi di fuoco e continuava a chiamarmi “questa bianca del cazzo” davanti a tutti, per poco mi mette le mani addosso, ho temuto per la mia incolumità fisica, mentre la figlia si scusava e cercava di calmarla. Ha continuato a borbottare improperi contro il colore della mia pelle per altri quindici minuti, ma nel frattempo io mi ero calata in una concentratissima lettura della prima rivista che ho trovato. Il  mese scorso invece mi è successa una cosa più divertente. Dovevo portare a riparare una valigia che mi avevano rotto in aereo, in un negozio nella “cidade baixa” di Salvador, uno dei quartieri più malfamati della città. Era già tardi, ma il giorno dopo dovevo tornare a Jaboticaba e così ho telefonato al negozio dicendo se mi aspettavano prima di chiudere. Il tipo mi ha chiesto il nome e poi di dove ero, perché la mia voce e il mio cognome lo incuriosivano; gli ho detto che ero italiana e… tutto bene, mi avrebbe aspettato. Mi sono avventurata così nelle vie squallide e poco frequentate nei pressi del “piano inclinato”, con la cartina della zona stampata nella testa (se l’avessi tirata fuori avrebbero capito subito che ero una turista dispersa e chissà che fine avrei fatto), una mano in tasca sul cellulare, fingendo di conoscere benissimo la zona e avere una meta precisa, con anche un po’ di fretta. Credendo quindi di essermi perfettamente mimetizzata con la popolazione locale (è normalissimo andare in giro trascinando una enorme valigia vuota… non mi noteranno mai!) riesco a trovare la via del valigiaio. Appena la imbocco, passando davanti a un bar, alcuni barboni e altri personaggi inquietanti cominciano ad additarmi dicendo “È arrivata la bianca, è arrivata la bianca!” e pare vogliano spargere la voce a tutto il vicinato. Oh Gesù, adesso mi rapiscono e mi vendono a qualche ricco fazendeiro dell’Amazzonia!… Uno dei barboni ubriaco comincia a seguirmi, non capisco un accidente di quello che dice, continua a dire che è arrivata la bianca, e io gli faccio sorrisetti di circostanza accelerando il passo.  Ma che vuole? Il mio travestimento da abitante del luogo non ha proprio funzionato, ahimé. C’è qualcosa però che non capisco: possibile che qui non abbiano mai visto un bianco? Perché insistono così con la sottoscritta? Mi daranno una botta in testa e domani mattina mi ritroverò senza un rene? Mi ruberanno tutto quello che ho? Mi salteranno addosso dieci barboni puzzolenti?  Oh, buon Dio, abbi pietà di me e dei miei peccati, voglio rivedere la mia mamma! Finalmente, sempre inseguita dal barbone trovo il negozio, con le saracinesche già quasi abbassate, il padrone mi apre e mi fa entrare (ci sarà da fidarsi?). All’improvviso capisco tutto: il valigiaio che durante il giorno non si ammazza di lavoro, deve avere commentato con gli abitanti della via che quella sera doveva restare aperto mezz’ora in più per aspettare una ragazza italiana. Deve essere stata la notizia del giorno per la banda di disperati del bar e della via, che quindi attendevano con ansia e curiosità il mio arrivo. Forse si aspettavano Sofia Loren, poverini chissà che delusione! E il barbone probabilmente non mi stava importunando, ma era stato così gentile da volermi accompagnare fino al negozio. Ma che carini… Al ritorno, completamente rilassata, mi sono quindi fermata a salutare tutti gli avventori del bar e gli abitanti della via, con strette di mano e persino un abbraccio al barbone. Non sarò Sofia Loren ma forse si ricorderanno di me, almeno per qualche giorno.

26 Ottobre 2003: ce la siamo vista brutta ovvero ho inventato una nuova falciatrice di cactus

Stamattina dovevamo andare a Quixabeira a fare il programma radio sull’apicoltura, con Ilaria e Giovanni, Josa e Robenol. La trasmissione, rigorosamente in diretta, era programmata per l’ora di punta sertaneja ossia l’alba per noi poveri italiani. Alle 8:00 cominciava il programma e alle 7:30 noi stavamo ancora facendo colazione. Tentando di accelerare le cose vado subito a prendere la macchina affittata che era in garage e mi metto al volante. Eh sì, perché io conosco le strade meglio degli altri, ho più esperienza, insomma credo di essere in grado di arrivare a Quixabeira entro le 8:00 e avere anche qualche minuto per fare le prove. Partiamo, e il piede pesa sull’acceleratore, ma ultimamente hanno passato il trattore sulla strada e non ci sono buche. Corro, sì lo ammetto. Così all’improvviso, forse per colpa di un banco di sabbia (no, qui non siamo al mare, le spiagge sono a 300 chilometri, ma su questa strada c’è più sabbia che alle Maldive…dannazione!) perdo il controllo della macchina: sbanda a destra, cerco di riportarla a sinistra, oh no, adesso va troppo a sinistra, tento di riportarla a destra, poi a sinistra, e intanto tutti i passeggeri iniziano a pensare ai loro cari, Josa si vede già all’entrata del Paradiso… Io invece vedo solo gli alti bordi della strada e gli steccati, la macchina ondeggia sempre di più, quando percepisco la possibilità che si ribalti tiro un urlo e invece di ribaltarsi sale sul bordo della strada, sfondiamo lo steccato col filo spinato, vedo volare pali di legno sul vetro come fossero fuscelli, tipo nei film americani. Il buon Dio però ci ha fatto entrare in un campo di fichi d’india che si rivelano degli ottimi ammortizzatori. Percorriamo almeno 50 metri nel campo falciando decine di piante alte due metri, ce le spazzoliamo come erbetta tenera, con la coda dell’occhio invece intravedo ai lati alcune palme dal fusto ben duro e faccio di tutto per non finirci contro. I benedetti fichi d’India dopo un tempo che ci è sembrato infinito finalmente ci fermano. Dio mio che sollievo non vedere più volare roba verde sul parabrezza. Lo specchietto retrovisore invece si è staccato e mi è volato su una mano, vedo il mio tendine bianco nel buco che ha fatto ma non lo ha toccato, è andata bene. In compenso invece ho fatto una strage di fichidindia! Scendiamo dalla macchina e guardando lo scempio vegetale, forse anche a causa dello spavento, ci mettiamo a ridere come degli imbecilli. In effetti però è stato un lavoro eccezionale: in cinque secondi ho fatto il lavoro di una giornata del contadino! Qua il ficodindia è usato come cibo per gli animali e viene periodicamente tagliato, quindi io ho fatto un ottimo servizio al padrone del campo. Che infatti quando arriva non si arrabbia neanche un po’ e non vuole nemmeno risarcimenti. La macchina comunque, ammaccata e grattugiata dal filo spinato, è ancora in grado di camminare, bisogna solo cambiare una gomma per ripartire. Giovanni e Robenol si fermano a cambiarla, mentre noi donne prendiamo un passaggio da Jonas il taxista con la macchina scassata a gas, che passa in quel momento. Jonas non è che sia un grande autista e appena partiamo invece che guardare la strada si mette a parlare con Josa e per educazione la guarda attentamente in faccia, quindi dopo soli 10 metri rischiamo di andare di nuovo fuori strada. Riusciamo infine ad arrivare a Quixabeira, lo pseudo ambulatorio è chiuso e quindi vado in casa di una infermiera a farmi medicare. Nel frattempo scopriamo che la trasmissione era alle 8:30 invece che alle 8:00. Grrrrr, che nervi, se lo avessimo saputo mica avrei corso così! Mi sento una merda nei confronti dei miei passeggeri per avere messo a repentaglio la loro vita. Ma ora non c’è nemmeno il tempo di pensare, dobbiamo andare in onda. La mezz’ora di programma fila liscia, almeno quella… Per tutta la giornata mi rincorrono pensieri angoscianti su come poteva andare a finire, continuo a darmi dell’imbecille, ma i miei colleghi invece (non so se ironicamente…) mi continuano a dire che sono stata bravissima a “tenere” la macchina e a non farla ribaltare… Mah…. L’unica cosa di cui sono soddisfatta è il nuovo modello di falciatrice per fichidindia che ho inventato. Chissà se vendendo il brevetto riesco a pagarci le spese dei danni alla macchina…