Author Archives: Silvia

10 Luglio 2003: il mio primo scippo… sigh..

Lunedì scorso sono stata vittima del mio primo scippo in Brasile, ahimè. La sfiga si è accanita contro di me, perché era uno di quei rarissimi giorni in cui avevo con me un sacco di soldi (una donazione per due adozioni a distanza) e tutti i documenti, carta di credito, identità e codice fiscale brasiliani, ecc… Ero a Capim Grosso, al mercato all’aperto settimanale. Non ho mai avuto nessun problema, né mi avevano mai raccontato di molti furti, e così non ho prestato la sufficiente attenzione e passando da un banco di frutta all’altro, passando in mezzo alla folla che schiacciava, un esperto ladruncolo mi ha aperto la borsa e si è preso il mio portafoglio. Mano leggerissima, non ho percepito assolutamente nulla. Me ne sono accorta quando stavo per pagare le banane. Panico, disperazione, non può essere vero! Mi affanno, guardo per terra, comincio a piagnucolare davanti a tutti e quell’imbecille delle banane continua a chiedermi se le voglio… Ma come cavolo le pago amico se sono rimasta senza un centesimo! Dopo cinque minuti di scenata in mezzo al mercato incontro Suor Vivalda, le racconto l’accaduto e vado alla stazione di polizia per fare la denuncia. L’impiegato, scoprendo che sono italiana, mi mostra le cartoline che i suoi figli gli mandano da Mantova (la moglie l’ha lasciato per un italiano e si è portata i quattro figli in Italia – solito italiano che si fa infinocchiare dalla brasiliana). Ma a me che mi importa? Sto pensando agli 800 R$ e alla mia carta di credito… Subito dopo vado alla radio comunitaria per dare un annuncio pietoso e strappalacrime (sono una povera volontaria straniera, portavo soldi per i bambini che adesso moriranno di fame… sono rimasta senza documenti, aiutatemi…). Dopo di che la buona Lourdes, che lavora alla radio, mi accompagna a parlare con tutti i poliziotti di Capim Grosso per avvisarli. Appena torniamo di nuovo alla radio arriva una ragazza dicendo “la polizia ha ammazzato il ladro che ti ha derubato!”. Mi sento mancare. Andiamo alla polizia e in realtà poi si scopre che era un altro ladro, che stava fuggendo e, nascosto in una casa, ha sparato contro la polizia, che ha dovuto rispondere e farlo secco (sarà proprio andata così?). Uno dei poliziotti si è preso due colpi, ma per fortuna aveva il giubbotto antiproiettile. L’ho incontrato alla stazione di polizia, era pallido pallido, anche se di colore… Volevano mostrarmi il morto, ma io ho declinato l’invito… non poteva essere il “mio” ladro, il mio furto era successo dopo. Vado a dare ancora un’altra intervista alla radio, durante il notiziario di mezzogiorno, questa volta l’intervistatore la mette sull’indignato, ma resta un po’ patetico… Comunque adesso tutta la regione sa cosa mi è successo, sono già famosa! Nei giorni successivi racconto la storia decine di volte. Mi fa arrabbiare la mia stupidità. A Genova sull’autobus sto molto più attenta, qua invece, non essendomi mai successo nulla, mi ero un po’ rilassata. In realtà qui è abbastanza tranquillo, non siamo a Rio de Janeiro! Qui siamo in campagna, ci sono molto meno problemi di criminalità. E quindi anche un semplice furto qui diventa un evento! Speravo che almeno trovassero i documenti ma sono già passati tre giorni e le speranze si assottigliano. Per il ladro è stato un bel colpaccio, può andare in pensione per i prossimi sei mesi, speriamo usi i soldi per qualcosa di buono e non se li spenda tutti in cachaça!

3 Maggio 2003: curiosità sertaneje

Ecco in ordine sparso alcune cose interessanti che mi hanno colpito della vita quotidiana dei sertanejos, gli abitanti del sertão. Per esempio il modo di dormire: nonostante esistano i lenzuoli, generalmente i sertanejos dormono mummificati avvolti in una coperta, che si fanno girare intorno come un bozzolo, e sa fa freddo si mummificano pure la testa! Non so come facciano, mi sembra la cosa più scomoda e soffocante del mondo, chissà che origine ha. Forse perché un tempo non possedevano i lenzuoli, forse perché dormivano dove capitava, un interessante questione antropologica! Un’ altra cosa curiosa è il modo di mangiare: si ha un unico piatto che viene riempito contemporaneamente con tutte le portate, poi si prende una forchetta e si rimescola per bene tutto quanto, così non distingui più i fagioli dal pollo, la carne di capra dal riso e dalle carote. Spesso ci infilano pure la frutta… specialmente le banane. Il minestrone totale!  E poi raramente bevono durante il pasto, viene ingurgitato tutto senza ausilio di liquidi (vi sfido io a buttare giù riso, fagioli, carne secca e farina di manioca senza acqua: impossibile per me, ma loro ce la fanno). Al limite si beve un po’ d’acqua solo alla fine del pasto. Altre abitudini che denotano il sertanejo verace sono il fatto di scatarrare tranquillamente in pubblico (anche le donne) e sputare con nonchalance per terra, a pochi centimetri dai piedi dell’interlocutore, oppure soffiarsi il naso senza fazzoletto, lanciando a gran velocità il prodotto verso il suolo… Per quanto riguarda i giovani, bisogna dire che la globalizzazione impazza ed è arrivata pure qui, non so come sia possibile, in tanti posti qui non arriva l’elettricità né il telefono, ma i ragazzi sembrano le fotocopie degli adolescenti genovesi: stessi jeans stracciati e macchiati, vita bassa e mutande fuori, ombelico scoperto per le ragazze e avanti così…  Tuttavia resistono certe tradizioni e modi di pensare. Per quanto riguarda la musica ad esempio: quest’anno nella hit parade del sertão al primo posto c’è “Hanno ammazzato il mio tacchino”, ve lo giuro!… Gli adolescenti che non si possono permettere la moto, per i 18 anni sognano un cavallo tutto per loro, ai bambini quando nascono non si regala il braccialettino d’oro, ma una capra da far crescere e nelle famiglie più benestanti un vitello. Il ragazzo sertanejo invita la fidanzata al rodeo il sabato sera e le offre uno spiedino di montone o un po’ di carne secca da trangugiare con mezzo bicchiere di cachaça. Lei sogna di vincere il titolo di Miss Regina dei vaqueiros e c’è un tifo da stadio a vedere sfilare le ragazze con gli stivali e il cappello da cowboy. I bambini giocano al fazendero e fanno a gara a chi ha più mucche; il piccolo Ramon tutte le volte me le elenca tutte una per una. Il giovane sertanejo “arrivato” veste elegantissimi stivali con la punta di ferro e gli speroni e un bel cappello simile a quello da cowboy. Il programma televisivo che fa maggiore audience nel sertão sono le aste di animali in diretta (come quelle che da noi vendono quadri e gioielli), basta una telefonata e un bel po’ di soldi che ti recapitano a casa quel magnifico toro da 10.000 dollari, tutto agghindato e pieno di medaglie dei vari concorsi che ha vinto. Il passatempo per eccellenza in tutto il sertão è il forrò, una sorta di ballo liscio molto facile e allegro (persino io, celebre bastone di scopa, sono riuscita ad impararlo) che è una sorta di droga per tutti gli abitanti del sertão.  Sono centinaia o forse migliaia le bande che suonano il forrò, ognuno ha un nome allucinante, generalmente derivato da qualche alimento tipico. “Cous cous con latte”, “Riso e fagioli”, “Limone con miele”, “Caviale e rapadura”, “Semola di mais” e avanti così,  starei ore a leggere questi nomi nel negozio di CD pirata di Capim Grossso. (ebbene sì, è un vero e proprio negozio che vende solamente CD pirata). La celebre musica brasiliana di Caetano Veloso, Tom Jobim, Toquinho, Elis Regina, qui è praticamente sconosciuta. In compenso “Bruno e Marrone” sono famosissimi, e per quanto riguarda l’Italia Laura Pausini, Tiziano Ferro e Eros Ramazzotti vanno alla grande…  Un’altra singolarità linguistica è l’uso che viene fatto dei suffissi “inho” (diminutivo –ino)  e “ão” (accrescitivo  -one). State 10 minuti a parlare con Josa e ve ne renderete conto. Potrebbe dirvi ad esempio: “Ehi perché non andiamo coi nostri amicini e ci prendiamo un caffettino o una birrettina in quel barettino, solo un momentino, velocino, magari mangiando un dolcino o un biscottino, guarda quello come è bellino, tutto decoratino…” Però magari stando lì seduta potrebbe vedere passare “quel ragazzone grandone, è proprio un bellone su quel macchinone, chissa quanto denarone è costato”… Insomma è difficile che qualcosa sia normale, è più divertente enfatizzare tutto, nel grande o nel piccolo.  Quindi se in città vi diranno di prendere il frescão (= frescone), non sarà una bibita da chiedere al bar, ma ricordatevi che è l’autobus con l’aria condizionata! E il lixão (= spazzaturone) è semplicemente la discarica, mentre l’apagão (=spegnone) è il blackout. Troppo belli questi nomi!!! E per finire, già che stiamo parlando di nomi, sappiate che cercare una persona sapendone solo il cognome qui è assolutamente inutile. La gente nel sertão si conosce soprattutto per il soprannome (“Baffo”, “Tedesco”,”Figlio”,”Dadà”, “Dudù”, “Didì”,”Dò” ad esempio..), ed eventualmente per il nome.  Perché non è come da noi: nel sertão i cognomi sono tutti uguali (Santos,  Silva, Ferreira, Oliveira, Souza e pochi altri), invece per i nomi si dà libero sfogo alla fantasia. La stragrande maggioranza dei nomi di battesimo sono inventati, unendo pezzi di nomi dei genitori, nomi di piante, di luoghi, di santi e di madonne. Praticamente non c’è un nome uguale all’altro. E anche chi si chiama Maria sarà Maria di Lourdes, oppure Maria di Fatima, oppure Maria del Carmine. Solo Maria sarebbe troppo banale!

10 Aprile 2003: la mia prima flebo

La guerra in Iraq ha deciso di trasferirsi nel mio intestino e l’altro ieri è iniziata la madre di tutte le dissenterie nelle mie viscere. Accompagnata da febbre alta, crampi, mal di testa, nausea e un dolore insopportabile alla schiena. Temendo potesse essere dengue (una brutta malattia portata da una specie di zanzara) Josa mi ha fatto portare all’ospedale di Capim Grosso. Sulla “macchina a gas” di Jonas, dopo 27 chilometri di buche, distrutta dal viaggio, eccomi finalmente all’ospedale. Ecco… quello che non avrei mai augurato nemmeno al mio peggior nemico. L’ospedale di Capim Grosso è il simbolo della malasanità brasiliana (di proprietà del sindaco che, come privato cittadino, lo ha affittato a se stesso in quanto sindaco! Immaginatevi questo personaggio quanti soldi ruba al municipio). Ma del resto non me la sentivo di affrontare il viaggio fino a Jacobina. E di turno c’era una dottoressa che dicono sia brava. Così mi sono fatta le due ore di attesa prima di essere visitata. La visita è stata fulminea: misura della pressione, gli ho spiegato cosa sentivo e dopo 20 secondi già uscivano diagnosi e cura. Devo mandare il mio dottore di Genova a fare uno stage qui, lui che impiega non meno di 40 minuti per visita. La cura consisteva in una flebo e un antidolorifico. Non avevo mai fatto una flebo in vita mia e da grande coraggiosa quale sono mi ha preso il panico: aghi infetti, embolia, shock anafilattico… Già mi vedevo tornare in Italia dentro una cassa con il tricolore sopra! Invece sono sopravvissuta e oggi sto già meglio. La cosa che mi ha colpito è che lì la flebo sembra essere la panacea per tutti i mali. Per qualsiasi sintomo….flebo! Eravamo cinque nella stanza; c’era una psicopatica in crisi nervoso depressiva: flebo, c’era una vecchietta con l’artrite: flebo, c’era una ragazza con problemi respiratori: flebo (ma non sarebbe stato più opportuno un aerosol? però a dire il vero dopo cinque minuti di flebo sembrava le fosse già passato tutto), e poi c’era una donna magra come un chiodo, le si vedeva la fame disegnata sulla faccia, diceva che aveva problemi respiratori anche lei, ma ha chiesto da mangiare, povera donna, mi sa che la sua malattia era solo la fame… Comunque per la cronaca si è beccata una bella flebo pure lei!. Si vede che quel giorno avevano quello a disposizione… Per rallegrarsi, durante il tempo delle flebo, nella stanza si conversava sull’ennesimo caso di cronaca nera locale: la sera prima un uomo ha tagliato la testa a sua moglie nel letto di casa, qui a Capim Grosso. Accidenti, non mi lamento più della mia cacarella… possono capitare cose ben peggiori da queste parti! Alle 13 finalmente, finita la flebo, mi dimettono e torno a casa. La battaglia intestinale continua ancora, ma va meglio e almeno so che non è dengue, ma probabilmente un virus.  Beh, forse l’argomento di oggi non era molto esaltante (non mi dite “questa pagina è una m…!”… sarebbe troppo scontato), spero di allietarvi con argomenti più raffinati la prossima volta.

28 Marzo 2003: Quilombos

Ieri abbiamo visitato una comunità piuttosto sperduta e lontana dalle strade principali, la comunità di Camboeiro, che era un antico “quilombo”. I quilombo erano villaggi nascosti nella foresta o nelle steppe del sertão dove si rifugiavano gli schiavi di origine africana che fuggivano dalle piantagioni. Quando riuscivano a scappare formavano dei villaggi e cercavano di tenersi il più possibile nascosti e isolati per non farsi scoprire. A volte si mischiavano con gli indios. Il più grande quilombo di cui si ha memoria è quello di Palmares, formatosi nel 1629, tra gli stati di Pernambuco e Alagoas, Arrivò ad avere ventimila abitanti e il più celebre dei suoi re fu Zumbi, grandissimo guerriero che lottò coraggiosamente contro gli eserciti governativi inviati dai proprietari terrieri per riappropriarsi dei loro schiavi. Zumbi de Palmares fu infine ucciso durante un’imboscata, ma nel frattempo era già diventato un eroe per la popolazione nera, ancora oggi l’emblema della lotta alla schiavitù e il simbolo della speranza e della libertà. Per avere un’idea… durante la colonizzazione in Brasile arrivarono qualcosa come 5 milioni di schiavi africani. Oggi più della metà della popolazione brasiliana ha sangue in parte africano. Ancora oggi quando